
Piazza delle Rimembranze
(XX sec.)
L’eco della Grande Guerra si percepiva ancora tra i vicoli e le case in pietra, molto tempo dopo che i cannoni avevano smesso di tuonare. Il 24 maggio 1915, l’Italia era entrata in guerra, portandosi dietro moltissimi giovani di Giovinazzo, che erano partiti lasciandosi alle spalle famiglie, amici e una vita tranquilla per affrontare l’incertezza e l’orrore delle trincee. Oltre cento di quei giovani non fecero mai ritorno. I loro nomi si persero nei campi insanguinati del fronte, i loro corpi furono inghiottiti dalla terra umida e fredda. Le famiglie rimasero ad attendere, sperando in un miracolo che non arrivò mai.
Dopo la fine del conflitto, la memoria di quei giovani divenne un punto cruciale per la propaganda del regime fascista. Benito Mussolini, salito al potere nel 1922 dopo la Marcia su Roma, comprese l’importanza di celebrarne il ricordo. Le storie dei soldati caduti furono elevate a narrazioni epiche, gli eroi della Grande Guerra glorificati come martiri della patria, monumenti e lapidi spuntarono in ogni angolo d’Italia. Tra le iniziative più simboliche volute dal regime, vi fu la creazione dei “Parchi della Rimembranza”. In ogni comune e borgata, vennero piantati alberi in memoria dei caduti, uno per ciascun soldato, con una targhetta a identificarne il nome. Era un gesto retorico, ma potentemente evocativo: quegli alberi, crescendo, avrebbero mantenuto viva la memoria dei giovani scomparsi, offrendo alle famiglie un luogo dove poter commemorare i propri cari, molti dei quali non avevano mai ricevuto una degna sepoltura.
Anche Giovinazzo ebbe il suo spazio dedicato alla memoria. Nel 1926, tra il Calvario e l’Istituto San Giuseppe, venne inaugurata “Piazza delle Rimembranze”, un triangolo di terra alberato, simbolo del sacrificio e della rinascita, destinato a tenere vivo il ricordo dei caduti in guerra. Ogni albero piantato rappresentava una vita spezzata, ma anche una nuova speranza. Le famiglie si prendevano cura degli alberi come fossero i propri figli, raccontando le loro storie ai bambini delle scuole, che imparavano a conoscerne i nomi, a rispettarli e a non dimenticarli. La memoria dei caduti non era solo un lutto privato, ma un’eredità condivisa, tramandata di generazione in generazione, come monito e insegnamento.